Philippe Noiret 

Nasce il 1° ottobre 1930 a Lilla in Franca
Philippe Noiret tra i più grandi attori del cinema francese in campo internazionale.


Quando la spieghi la poesia diventa banale, meglio di ogni spiegazione è l’esperienza diretta delle emozioni che può svelare la poesia a un animo predisposto a comprenderla.
(dal film Il postino – Philippe Noiret – Pablo Neruda)

Si definiva “un saltimbanco che ama la comodità“, ma dietro quella maturità e la silenziosa determinazione con la quale affrontava le immense e infinite difficoltà di un personaggio, c’era il talento di chi ha continuato a servirsi del suo volto e di un fisico assolutamente comuni per costruire personaggi che sono stati in grado di entrare nella storia del cinema. Un uomo che portò in trionfo la settima arte dal punto di vista dell’uomo comune.

Philippe Noiret fu incoraggiato a percorrere la strada della commedia dallo scrittore Henri de Montherlant che lo vide recitare durante una festa.
Esordì nel grande schermo in piccolissimi ruoli a partire dal 1949, apparendo per la prima volta in una pellicola di Jacqueline Audry Gigi (1949), anche se nel frattempo continuava a seguire gli studi superiori.

Nel 1950, finiti questi, partecipò ai corsi d’arte drammatica tenuti da Roger Blin, attore poco sfruttato dal cinema, ma molto apprezzato in teatro. Per circa dieci anni, recitò al Théàtre National Populaire di Jean Vilar, dove alla prosa alternò il cabaret (assieme a Jean-Pierre Darras).
Nonostante Gigi, il suo film d’esordio è considerato La pointe courte (1956) di Agnès Varda. Dopo questo, la sua figura cominciò ad apparire con frequenza via via crescente sugli schermi del cinema francese (seppure ancora in ruoli secondari), sui set televisivi e sul palcoscenico. Nel 1960, fu lo zio di Zazie, cabarettista travestito da donna, in Zazie nel metrò di Louis Malle, film culto per i cinefili francesi; l’anno successivo, fu diretto da René Clair in Tutto l’oro del mondo, poi passa a lavorare con Edouard Molinaro, René Clément, Delannoy e perfino i nostri Fulci (Le massaggiatrici, 1962), Zampa (Frenesie dell’estate, 1963) e Vittorio De Sica (Sette volte donna, 1967).
Nel 1966, al termine della rappresentazione di “Un drôle de couple”, diede l’addio ufficiale al teatro, e sganciandosi un po’ dal cinema francese, si permise una parentesi americana nel 1969, lavorando per Alfred Hitchcock in Topaz, accanto a Michel Piccoli, e per George Cukor in Rapporto a quattro.
Ma la vera popolarità arrivò negli anni Settanta, quando entrò in contatto con il mondo surreale del regista italiano Marco Ferreri, interpretando uno dei quattro amici che vogliono suicidarsi a furia di cibo e sesso in La grande abbuffata (1973), seguito l’anno dopo da Non toccare la donna bianca. Sostenne con successo anche il ruolo drammatico de L’orologiaio di Saint-Paul (1974) che gli venne offerto da Bertrand Tavernier, riconfermando le sue capacità di finissimo e acuto cesellatore di personaggi profondamente umani anche in Il giudice e l’assassino (1975) e Che la festa cominci (1974), sempre di Tavernier.

Sull’onda del successo di pubblico, è nel cast del divertente Amici miei (1975) di Mario Monicelli, in cui Noiret dimostrò di poter sostenere grandissime doti comiche, al pari del grande Ugo Tognazzi. Diviso fra la nostra penisola e la Francia, in Italia affiancò spesso nomi celebri della comicità nostrana come Alberto Sordi (Il comune senso del pudore del 1976 e Il testimone del 1977), ma anche grandi registi come Valerio Zurlini in Il Deserto dei Tartari (1976).
Mentre nella sua madrepatria si trasformò e insisté nei ruoli negativi come quello del sedicente tutore della legge in Colpo di spugna (1981) di Tavernier con Isabelle Huppert. E poi Rosi, ancora Monicelli, Citti, e Scola, fino ad arrivare al suo ruolo più bello ed edificante, quello del gigantesco Alfredo, nel capolavoro di Giuseppe Tornatore Nuovo Cinema Paradiso (1988), dove si adatta al ruolo della figura paterna di un piccolo orfano, comprendendolo anche nel più sottile dettaglio e lasciandogli in eredità qualcosa che ha del soprannaturale: la passione oltre ogni limite per il cinema.

Due i César vinti come miglior attore uno per Frau Marlene (1976) di Robert Enrico e l’altro per La vita e nient’altro (1989) – per il quale vinse anche il David di Donatello – e fu importante nella sua carriera anche la collaborazione con Massimo Troisi, con il quale condivise il set dell’intenso Il postino (1994).
Sposato con l’attrice Monique Chaumette, morì a Parigi, dopo una lunga lotta contro il cancro. Non aveva la rabbia repressa del ribelle Michel Piccoli e neanche il mistico romanticismo di Trintignant, anche se appartiene alla stessa generazione. L’aria bonaria da nonno e l’apparenza da milione lo dotarono di una seduttività di cui lo schermo si nutrì come pane, e noi eravamo gli affamati.

(Fonte: MyMovies)