Gino Bartali

Nasce 18 luglio 1914 a Ponte Ema in provincia di Firenze
Gino Bartali ciclista professionista dal 1934 al 1954, vince tre Giri d’Italia (1936, 1937, 1946) e due Tour de France (1938, 1948).


Vincitore di numerose altre corse tra gli anni trenta e cinquanta, tra le quali spiccano quattro Milano-Sanremo e tre Giri di Lombardia. In particolare, la sua vittoria al Tour de France 1948 a detta di molti contribuì ad allentare il clima di tensione sociale in Italia dopo l’attentato a Palmiro Togliatti. Nel 2013 è stato dichiarato Giusto tra le nazioni per la sua attività a favore degli Ebrei durante la Seconda guerra mondiale.

La carriera di Bartali fu notevolmente condizionata dalla seconda guerra mondiale, sopraggiunta proprio nei suoi anni migliori.
Soprannominato Ginettaccio, fu grande avversario di Fausto Coppi, di cui era più vecchio di cinque anni.
Leggendaria fu la loro rivalità, che divise l’Italia nell’immediato dopoguerra, anche per le presunte diverse posizioni politiche dei due.
Celebre nell’immortalare un’intera epoca sportiva – tanto da entrare nell’immaginario collettivo degli italiani – è la foto che ritrae i due campioni mentre si passano una bottiglietta d’acqua durante l’ascesa al Col du Galibier al Tour de France 1952. (wikipedia)


“Oh, quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali, quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita, e i francesi ci rispettano che le balle ancora gli girano, e tu mi fai – dobbiamo andare al cine – e vai al cine, vacci tu”.
(Paolo Conte)


A dodici anni interrompe gli studi. Lavora come aiuto meccanico per tre giorni alla settimana in una piccola officina di biciclette.

Nel 1931 prende il via la sua grande avventura sulla bici. Ma è nel 1935 che Bartali viene conosciuto dal grande pubblico, perché vince il campionato italiano e arriva quarto alla Milano San Remo. Nel 1936 e nel 1937 trionfa al Giro d’Italia. È ormai il protagonista assoluto del ciclismo italiano. Ha ventitré anni, è polemico, chiuso e scontroso. Non per nulla gli amici lo chiamano Ginettaccio. È l’uomo giusto per il Tour de France: l’unica corsa a cui partecipano le squadre nazionali. Nel 1938 il commissario tecnico del ciclismo italiano, il grande Girardengo, lo prepara per battere i francesi. E Gino li batte. Due anni dopo è lui ad essere sconfitto. Nel 1940 vince il Giro d’Italia il suo gregario nella Legnano: il giovane Fausto Coppi che, dopo la seconda guerra mondiale, cambierà squadra e andrà alla Bianchi.

Nel 1946 in Italia si corre il Giro della rinascita. In un paese che fa i conti con la fame e con il dramma della ricostruzione, ‘pedalare’ entra nel gergo degli italiani. E gli italiani pedalano con Bartali che vince il Giro per la terza volta.
Nell’estate del 1948 è il protagonista di un capolavoro sportivo. Il 14 luglio di quell’anno, il giovane neofascista Antonio Pallante spara a Togliatti, che sta uscendo da Montecitorio. Il paese si mobilita. La CGIL dichiara lo sciopero generale. I dirigenti del PCI invitano i militanti a mantenere la calma, mentre il governo democristiano accusa i comunisti di istigare i propri simpatizzanti allo scontro.
Ma ciò che accade al di là delle Alpi distrae tutti. L’unico italiano in gara nel Tour de France ha un ritardo di ventuno minuti sul grande Louison Bobet. Bartali aspetta le montagne e sul colle dell’Izoard, il 15 luglio, stacca gli avversari vincendo la tappa Cannes Briançon. E poi continua a salire. Arriva a Parigi venti minuti prima dei francesi che, come racconta Paolo Conte, ‘ancora s’incazzano’. Dopo dieci anni dalla prima volta, Bartali ha vinto il Tour e la vittoria, questa volta, non è solo sua.
‘Sembra quasi che, risorgendo Bartali nella stessa corsa che vinse tanti anni fa, risorgano tutti gli uomini sani che parevano già stanchi e che invece riprendono, con repentine energie, il loro cammino illuminati dalla splendente fiaccola di un maestro non soltanto di eccellenza sportiva, ma di tutti quei valori che costituiscono il vero uomo’. Così scrive nel luglio del 1948 Emilio De Martino, il direttore della ‘Gazzetta dello Sport’. L’Italia, sconfitta dalla guerra, vince contro la Francia e Bartali è ricevuto dal Presidente della Repubblica Vincent Auriol.

Certo è una leggenda quella secondo cui il paese ha evitato la guerra civile grazie alla vittoria di Bartali. Ma è una leggenda indicativa. Andata perduta l’identità nazionale, un paese distrutto dai bombardamenti degli alleati e dalla guerra contro il nazifascismo, ha bisogno di ritrovarsi, di schierarsi e di sperare. E il ciclismo consente di identificarsi nella fatica consumata sulla strada. Quella stessa strada che, pochi anni prima, ha visto partigiani e fascisti spararsi, ora è il luogo in cui si aspettano i ciclisti che salgono sulle montagne e si consumano divisioni e rivalità.
Comunisti e democristiani rappresentano due mondi diversi, lontani, nemici. Come i più grandi ciclisti italiani: Coppi e Bartali. È Indro Montanelli, dalle pagine del ‘Corriere della Sera’, a lanciare il clichè di Bartali ‘De Gasperi del ciclismo’ e Coppi ‘Togliatti della strada’. E in effetti, Bartali è cattolico e democristiano, mentre Coppi è di sinistra. Il tifo sportivo e lo scontro ideologico s’intrecciano.

Durante la Resistenza, Bartali ha aiutato ebrei ed antifascisti facendo la spola con la bicicletta. È un buon padre di famiglia. I francesi lo chiamano Gino le pieux, il pio, perché è un membro dell’Azione cattolica ed è un devoto di Pio XII. È l’eroe santo d’altri tempi, un cavaliere senza macchia e senza paura. Coppi, invece, piace ai comunisti e ai socialisti. Ha lasciato la moglie per stare con Giulia Occhini, la dama bianca, che è una donna sposata, madre di due figli. È uno che corre per se stesso. Un uomo moderno che, come dicono i radiocronisti, è solo al comando. Gino, invece, è uno scalatore che spinge sui pedali, è uno che ragiona per gli altri. Al Tour de France del 1952 partecipano entrambi. La gente, ai lati delle strade, incita i duellanti. Incoraggia i rivali di sempre che, il 6 luglio del 1952, pedalano sulla vetta del Galibier e si passano una borraccia. La fotografia più nota del ciclismo italiano non spiega chi ha passato la borraccia all’altro e anzi apre un lungo dibattito. Forse non è così importante. Due anni dopo Bartali smette di correre. Ha percorso in bici più di 150 mila km, ha vinto 124 corse su 836 gare disputate.

È morto il 5 maggio del 2000 a Firenze.

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